Adolescenza in pandemia

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Gli umani si aggirano guardinghi, le identità sono celate da maschere che lasciano visibili solo occhi spesso in allerta, le strade sono tutte vuote, i parchi chiusi, le piazze deserte, i muretti desolati. Ma non siamo in un videogioco, uno di quelli in cui all’improvviso salta fuori un atletico combattente alle prese con qualche strana missione, uno di quelli con cui tanti adolescenti trascorrono ore, spesso notti intere. Siamo dentro una realtà che pochi di noi avrebbero immaginato di dover e poter vivere. Siamo dentro il tempo di una improvvisa pandemia, quella da Covid-19, che ha bloccato il vorticoso fluire delle vite di ognuno di noi e di ogni adolescente di ogni parte del mondo, al di là di ogni cultura, religione, condizione sociale, impegni, riferimenti.

Cosa si trovano a vivere gli adolescenti in questi giorni pandemici e potenzialmente confusivi? Le richieste che gli vengono rivolte, il distanziamento e l’isolamento sociale, la riduzione dei contatti fisici, degli interscambi, la negazione della possibilità di viaggiare, l’obbligo di doversi muovere solo in contesti noti e limitati e molto altro ancora, sono in aperto conflitto con i compiti e le sfide tipiche di questa fase evolutiva, di cui parole d’ordine sono, viceversa, sperimentazione, libertà.

La richiesta di rinunciare alla propria libertà in ragione di un pericolo, peraltro per loro stessi meno oggettivo che per altri – gli adulti – corrisponde ad un sacrificio cui responsabilmente hanno risposto. Basta osservare l’età media dei viandanti. Vero che la scuola è chiusa, le università anche, lo sono le palestre ed i parchi, i pub, ma possiamo dire che è solo l’assenza dei luoghi di ritrovo a condizionare il loro comportamento? Forse non solo. Forse, il tema della protezione dell’altro oltre che di sé stessi, è un input a cui l’attualità li ha esposti e chiamati a rispondere. Sarà una lezione? Un’opportunità formativa? Un’occasione di crescita? Un momento di insight?

Questa, quella che la pandemia ci sta presentando, è una occasione per riflettere su come i nostri ragazzi reagiscono alle sfide che incontrano e su come noi stessi, rappresentanti del mondo adulto, guardiamo a loro. Per esempio, la loro ben nota inseparabilità dallo smartphone, la familiarità con il web o i social, si stanno rivelando attitudini che in qualche modo favoriscono la loro resistenza a questa condizione di separazione dai coetanei, dal gruppo. La connessione che questi strumenti garantiscono, in sinergia con la flessibilità che è caratteristica dell’età giovanile, sembrano poter alleviare il senso di isolamento, attingendo da ed attivando, una capacità di problem solving, che non può che rinvigorire la fiducia con cui guardiamo alle nuove generazioni, cui spesso regaliamo problemi più che soluzioni degli stessi.

La loro capacità di fronteggiare una situazione difficile e stressante come quella che stiamo vivendo – i cui contorni dovranno ancora essere delineati, data la vastità delle implicazioni –  è tuttavia qualcosa a cui possiamo contribuire, possiamo cioè favorire lo sviluppo della loro resilienza. Come?

Alcuni punti cui dare rilievo, possono essere i seguenti:

  • Promuovere la loro flessibilità,  aiutandoli a trovare più vie d’uscita quando si trovano di fronte ad un ostacolo senza focalizzarsi solo su quello che non va. Ciò implementa la capacità di trovare in modo creativo soluzioni a problemi complessi, trasformando la condizione negativa in una sfida stimolante da affrontare e superare.
  • Permettergli di sbagliare, consentendogli di ragionare in autonomia, sostenendoli nello sviluppo della propria capacità critica, di un personale punto di vista, della capacità di prendere decisioni. L’eccesso di protezione, seppure in buona fede, determina insicurezza, e limita la possibilità di sperimentare la propria auto-efficacia.
  • Dare il buon esempio, che non significa non sbagliare mai. I ragazzi hanno necessità di sapere che anche i genitori o gli adulti in genere possono sbagliare e che si può imparare da ogni situazione e riparare.
  • Renderli consapevoli delle loro risorse e dei loro limiti, aiutandoli a porsi obiettivi ambiziosi ma raggiungibili. I limiti potranno essere percepiti non come insormontabili ma come stimolo di crescita.
  • Renderli fiduciosi in sé stessi, valorizzando le loro risorse e i loro punti di forza piuttosto che attaccandone i lati meno brillanti. Nel contempo evitare di eccedere in complimenti esagerati, che possono creare pressioni eccessive, insinuare la paura di deludere le aspettative e di non essere all’altezza.
  • Promuovere la capacità di sdrammatizzare, favorendo l’assunzione di una visione più leggera sulle cose, stimolando lo sviluppo del senso di umorismo e ironia.

Non si tratta certo di un insieme esaustivo di indicazioni. Così come non possiamo riferire queste brevi note a tutti i percorsi di crescita e di sviluppo che caratterizzano questa fase evolutiva, ricca di incertezze, slanci e brusche frenate.

Vale dunque guardare ai nostri ragazzi, come un sistema in progress, che volge al suo sviluppo secondo un dispiegarsi di forze che traggono la spinta necessaria dall’ambiente interno del sé e dall’ambiente esterno che gli mettiamo a disposizione. E quanto di più utile può esserci, in situazioni impreviste ed imprevedibili come quella che stiamo vivendo, di una integrazione di forze.

Dott.ssa Nadia Fedeli Medico Chirurgo, Specialista in Neuropsichiatria Infantile, Psicoterapeuta. Già Responsabile clinico SRTRi-A, Struttura Residenziale Terapeutico-Riabilitativa per Adolescenti, Villa Armonia Nuova – Roma

Roma, 30 Aprile 2020